mercoledì 29 agosto 2012

Unconventional Press @ Poetry Library, U.K.



Il Poetry Library di Londra, biblioteca-archivio, ospita _language regression di Francesco Aprile, edito da U.P. nel marzo 2012.
Poetry Library è Biblioteca-Archivio, sede del Consiglio delle Arti e della Collezione di Poesia presso la Southbank Centre, a Londra. Comprende la più completa e accessibile raccolta di poesia dal 1912 in Gran Bretagna, ed è la libreria principale per la poesia moderna e contemporanea finanziata da "Arts Council England". Ospita pubblicazioni in diversi formati - libri, opuscoli, audio cassette, cd, video, dvd, riviste, giornali, singoli articoli di giornale, fotografie, manifesti, cartoline, opere e pubblicazioni di poesia visiva, pubblicazioni legate alle sperimentazioni del '900 a partire dagli anni '50, con particolare attenzione al periodo che raccoglie le avanguardie che dai '60 agli '80 hanno caratterizzato la ricerca -  ed è la casa di poetrymagazines.org.uk, un numero sempre crescente di database full-text per il Regno Unito. La Biblioteca, fondata nel 1953, contiene 100.000 voci e continua a crescere con l'obiettivo di immagazzinare tutti i titoli di poesia pubblicati nel Regno Unito comprese anche, assieme ai testi di autori inglesi, le traduzioni di autori stranieri, con testo a fronte, pubblicate nel Regno Unito.
Poetry Library, vista la dimensione e le caratteristiche internazionali e plurilinguistiche della ricerca dei diversi autori operanti nell’ambito della Poesia verbo-visiva ospita, a partire dall’agosto 2012, “_language regression. techno-visual poetries” di Francesco Aprile, pubblicazione indipendente a tiratura limitata, edita da Unconventional Press in Italia, Lecce per la precisione, nel marzo 2012 e in doppia lingua, italiano-inglese, che ha l'onore di essere archiviata nell'importante biblioteca che ospita esclusivamente testi editi nel Regno Unito.
Il libro_
Francesco Aprile, _language regression. techno-visual poetries, Unconventional Press, Lecce, March 2012
Unconventional Press propone, a partire da marzo 2012, _language regression. techno-visual poetries, poesie visive, digitali, narrazioni poetiche istantanee per stampe fotografiche, di Francesco Aprile.
Un percorso, quello dell’autore, che si realizza fra narrazioni poetiche, visive, elettroniche, informatiche, algoritmi poetici, schede perforate, mail art, email art, post arte genetica (post Ghen, 1976), istantanee per stampa fotografica digitale. “_language regression” è la concettualizzazione del segno poetico disarticolato, desemantizzato che rinasce cristallizzato in una serie di narrazioni istantanee, veloci, che sono frammenti di una realtà frenetica. La scelta è quella di opere della ricerca poetica, verbo-visiva, realizzate in digitale e destinate ad un libretto in stampa digitale fotografica nel solco di una linea di ricerca in cui il supporto e le dinamiche realizzative connotano il contesto storico. E ancora, retrocedere alla frantumazione del segno minimo significante. Slogature del senso. Nuotare in un mare di segni infranti, sempre sul bilico del comporsi per significare. Il linguaggio come sedimentazione dell’anthropos.
I singoli lavori sono caratterizzati, inoltre, da stratificazione sociale dell'opera, narrazioni scomponibili, segni di punteggiatura elettronica e interazioni testo-corpo / Mcluhan-Lacan: estensione, narcosi, manque à être per ambivalenze sociali destrutturanti. Disarticolazioni semantiche e regressione del linguaggio.

domenica 26 agosto 2012

Otium thalassiale


Tratto da: Ozio, catalogo mostra d’arte, presso Art & Ars Gallery, Galatina (le), a cura di Lorenzo Madaro.
http://ozioart.blogspot.it/2012/08/normal-0-14-false-false-false-it-x-none.html
Otium. O della dimensione del creare. O dell’abbandonarsi al ritmo della produzione poietica, della ripetizione archetipa che sostanzia il reale, comune universale, districata nella dimensione del sogno, come produzione, come ritorno thalassiale, come fonte foce e letto dove la pulsione scorre, nell’intima condizione della ripetizione poietica che origina, del reclamare il diritto all’interrupt sociale, in un contesto degenerativo che condiziona, crea e ricrea assorbendo la dimensione sognante, astraendola per destrutturazione, divisione. E distruzione, dissolvendola. Quando cediamo in pegno questa nostra dimensione, siamo dimentichi della nostra esistenza, conformati alle estensioni della condizione primigenia replicante e replicata dalle new-tecnologie sociali. Il corpo della madre, il primo media. Un pezzo di sesso dimenticato. Oggi. Mirror media che annullano, privano reprimono. Impediscono il ritorno ad un io che è un noi che è altro da noi. Il sogno il sogno. O dell’otium thalassiale, fuori dalla dialettica sociale odierna che ci determina in quella «peu de realité» lacaniana, costituente più che costitutiva.
Francesco Aprile
Agosto 2012

Expoesía Visual Experimental 03, julio-agosto 2012

Ya esta disponible el cuarto Número de la revista "Expoesía Visual Experimental"

En este nuevo número participan: Susana Ribuffo/España, Gonzalo Crespo/Argentina, Gastão de Magalhaes/Brasil, Francesco Aprile/Italia, Angye Marcela Gaona/Col

ombia, Ricardo D. J. Rodríguez/México, Alejandro Thornton/Argentina, Anna Boschi/Italia, Sabela baña/España, Daniela Mastrandrea/Patagonia Argentina, Rita Gabriela Ramirez Romero/México y Volodymyr Bilyk/Ukrania. 





venerdì 17 agosto 2012

Experiential-experimental-literature|| poems || Francesco Aprile

texts that change the conscious parameters of literature, both for readers and writers. from a different angle than these, r.p. blackmur adds: ‘poetry: [is] …language so twisted and posed in a form that…it adds to the stock of available reality.’ and: now that blogger has included the ability to reproduce fonts more accurately, alpha-numeric visual-poetry will be welcomed for consideration.
Link:

martedì 14 agosto 2012

L'arte 'rete' di Franco Gelli


Franco Gelli fra pittura, poesia visiva, copy art, mail art, ricerca avanzata per un percorso di ibridazione teorico-concettuale a nutrimento dell’assetto artistico. Aderì al Movimento di Arte Genetica (GHEN – fondato da Francesco Saverio Dòdaro nel 1976) e fu il “numero due” del movimento. Ha realizzato, fra le varie opere, “Il manifesto della follia, 1980-1984″, “Ipotesi genetica di città, 1984″, “Mare Piccolo”, “EXVOTO PER Carmelo Bene (in)adempiendo LACAN”, “Implicazione struttura ambiente, 1966″, portando a compimento importanti opere imbevute, anche, dell’assetto sociale, dello spazio attorno, inquadrando, in uno sviluppo artistico sempre avanzato, temi difficili come quello dell’immigrazione.
C’è una poetica che è nel processo, nel mancamento, nella distanza storica dei processi evolutivi della propria persona e della persona d’altri, dell’azione ch’è esterna s’ascolta e s’accorda nel sentire e nella pratica realizzativa. È il concetto del processo che sedimenta l’opera, ne descrive le traiettorie e le strutture in entrata, l’artista stesso, che emerge e sfocia in risultati, di volta in volta diversi, che sono propri delle tematiche trattate in corso d’opera e le riscopre come corpi-arti dello stesso volto, perché descritte in una pratica realizzativa caratterizzata da quel criterio di identificabilità “genetico” che è nell’esperienza del vivere quotidiano, e si genera dal profondo dell’artista.
Intraprendere un discorso a partire dall’opera poetico-visiva di Franco Gelli significa destinarlo, il discorso, all’elaborazione teorica di una delle poetiche più avanzate negli ambiti della ricerca artistico-letteraria degli ultimi trent’anni, sepolta, come spesso accade, da un ingiusto velo di polvere che, oggi, si propone come lembo di terra che nasconde e sul quale si è andati edificando castelli di specchi smisurati, privi di ogni cognizione di quanto accaduto nel recente passato. Fra installazioni, testi teorici, poetico-narrativi, iniziative volte al recupero (si vedrà, più avanti, l’operazione condotta da Gelli nel tentativo di un recupero, profondo, sincero, dell’opera poetica di Vittorio Bodini) si snoda l’esperienza più avanzata che la proposta di Gelli ha saputo strutturare nel corso degli anni.
L’opera di Gelli, nei moduli M27 – M28 del primo numero del Quotidiano dei Poeti, pubblicato nel marzo 1989 – voluto da Antonio Leonardo Verri e strutturato, nella sua prima esperienza, nel respiro della modularità dattilo A4 pensata e voluta da Francesco Saverio Dòdaro – intitolata “Omaggio a Mlyanàrcik”, tende l’esperienza poetica dell’autore nel bilico di un sentire incagliato fra il passato e la contemporaneità di uno sguardo che si staglia fra la Venere del Tiziano e gli scorci di Venezia, i disagi urbani, metropolitani, di una città in espansione, che non è dato sapere quale perché è negli umori che incarna che si situa la sua condizione di crescita e trascende Venezia, ma che esiste e si agita alle spalle della tranquillità maliziosa del Tiziano, assorbendola, dilaniandola nello scalpitare tumultuoso della crescita della modernità, ansiosa, smaniosa di esserci e di assorbire la lentezza armonica dello sguardo pittorico della Venere incantata, ma che già sente lo scalpitare del tempo in quei sobborghi che, già post-urbani, ne assediano l’armonia.
Facendo alcuni passi indietro nell’ambito della ricerca svolta da Gelli, è necessario un breve itinerario in quello che è stato il Movimento di Arte Genetica, fondato da Francesco Saverio Dòdaro nel 1976, e del quale Gelli è stato il “numero due”, come testimoniato dal timbro che apponeva sulle sue opere che riportava la dicitura di “Genetico Numero 2”. Col Movimento di Arte Genetica, Dòdaro rintraccia l’origine del linguaggio nella mancanza a essere individuata da Lacan per la separazione del soggetto dal complemento materno, in quel trauma del linguaggio, verso quello sviluppo della realtà psichica dove, all’interno dell’analisi lacaniana, è possibile riscontrare, oltre all’esperienza traumatica della separazione all’atto della nascita, che il bambino cercherà di colmare attraverso la pulsione che, incontrando i limiti del corpo, sfocerà nelle zone erogene, proseguendo con la fase dello specchio e l’alienazione del soggetto nell’io immaginario, fittizio, fino alla terza fase in cui la presenza del padre che separa il bambino dalla madre pone il bambino stesso nell’ordine simbolico del linguaggio, che lo indirizza alla vita “propriamente umana”. All’interno della teoria genetica Dòdaro considererà il linguaggio come una congiunzione volta al ricomporre la dualità dell’anima, rintracciando, inoltre, la musicalità insita in ogni linguaggio umano nell’archetipo del battito del cuore ascoltato in età fetale nel grembo della madre. A partire da ciò, Gelli, genetico numero due, avvierà un percorso di ricerca che lui stesso denominerà di poesia neo-genetica nell’intervento teorico che accompagnerà l’installazione poietica “Stazione Genetica. Manichino: Macchina abitabile postindustriale” e che sarà, poi, pubblicato nel numero di Ghen Res Extensa Ligu del giugno 1984. Attraverso l’opera in questione, e il relativo testo teorico, di fatto Gelli parla, come già detto, di “esperienza neo-genetica non più fondata sulla memoria del suono, poiché lo sguardo mirato altrove ne fa memoria di luce”. “Stazione genetica” è un’opera/installazione ai margini tribali di un bosco condizionato dalla chirurgia sociale di relitti postmoderni; un’auto, un manichino. Nel nome è l’intercambiabilità, la simbiosi dei ruoli di questi due strumenti accostabili al duale. Nel titolo, il manichino è letteralmente definito “macchina postindustriale abitabile”, richiamando all’automobile come spazio abitativo postindustriale, ma, allo stesso tempo, siamo nell’ottica di un manichino vuoto che di fatto fonda l’abitabilità del nulla tecnologico contemporaneo ed apre alla dualità dell’abitare, della simbiosi, della comunione, di un contesto di comunicazione tecnicamente alienato che ricerca le sue radici duali.
“In primavera non vedo”, opera ispirata ai quaderni di Franca Camillò, pubblicata sul numero di dicembre 1982 di Ghen Res Extensa Ligu, un tondo, un cerchio, riflesso di remote mancanze, nero, nero come la pece, come il mare di notte quando ogni centimetro di profondità è un fondo abissale, uno scuro ritmo maternale; una bambina, una foto, la luce sullo sfondo, bianca accecante, un muro bianco e il nero che ricopre la bambina, la sua sagoma lontana come il fondo scuro del cerchio, profonda come il mare; vicina nel tempo, ma ubriaca di lontananze originarie.
L’iniziativa “Cercare Bodini”, accennata in apertura, pubblicata nel febbraio 1983 sul Pensionante dei Saraceni, è identificabile come una imponente operazione poetica autogestita, accostabile al circuito della mail art, “indicativa di scelte funzionali rispondenti in arte a meccanismi aggreganti instaurati per contatto” (Gelli, F., in “Pensionante dei Saraceni”). Il segnale linguistico, quindi simbolico, rintracciabile nella poetica di Vittorio Bodini, parte da labbra che sono antenne delle lontananze, perché la pulsione, la libido che incontra i limiti del corpo per convogliarsi sulle zone erogene freudiane, ricerca il contatto, causa mancanze ad essere, propriamente umane di Altro che ci dona la parola, ci apre al simbolico e si confonde nella ricerca poietica di una produzione artistica del reale, indistinto dal sogno che non è irreale, ma produzione e costruzione della vita che nel contatto si realizza. Il seme linguistico della poesia, in questo caso filtrato attraverso il segnale “Bodini”, è la concezione dell’arte come rete, all’interno della quale, nel caso della proposta di Gelli, convergeranno, fra gli altri, Achille Cavellini, Francesco Spada, Luciano Caruso, Lamberto Pignotti, Francesco Saverio Dòdaro, Vittorio Balsebre, Mirella Bentivoglio, Toti Carpentieri, Lucio Giannone, Gino Gini, Gruppo Gramma, Sandro Greco, Armida Marasco, Elio Marchegiani, Armando Marocco, Antonio Massari, Eugenio Miccini, Enzo Miglietta, Fernando Miglietta, Rolando Mignani, Alex Mlynàrcik, Vanna Nicolotti, Atonio Noia, Ico Parisi, Ilderosa Petrucci, Pierre Restany, Romano Sambati, Vittorio Tolu, Donato Valli, Carlo Alberto Augieri e altri ancora.
“È pur nostro il disfarsi delle sere” è un verso autografo di Carmelo Bene sul retro di un dipinto di Gelli che, l’autore neo-genetico, ripropone nella pubblicazione sul Pensionante dei Saraceni del testo teorico e delle foto della sua installazione intitolata “(In)adempiendo Lacan” che mescola la lacaniana fase dello specchio all’apparire nell’esserci-non esserci di Carmelo Bene che, nell’installazione, appare alla madonna, riflessa nello specchio, che rivive la fase dello specchio per il riconoscimento e la strutturazione fittizia di sé, in un capovolgimento che vede Carmelo Bene sospeso, aprirsi al volo, aggrovigliato al suono che nell’aria si propaga attraverso le note di un violino. Scrive Gelli che “Il suono del verso è chiave, conseguenza delle conseguenze (causa di Teatro) (causa di Poesia) per chi parte dal sud del sud dove la memoria non ha limiti (lontananze genetiche)”.
“Amo Venezia”, sulla copertina de “I trofei della città di Guisnes”, romanzo di Antonio L. Verri pubblicato nella collana Il Quadrato – all’epoca diretta da Antonio Errico – per Il Laboratorio di Aldo D’Antico nel mese di dicembre 1988, è una risonanza, una radiografia, un cercare che è nuotare in un mare amniotico che accarezza il ventre della città, il passo del bambino, l’amore originario.
Francesco Aprile
2012-07-23
Da Il Paese Nuovo

giovedì 9 agosto 2012

Dell'accogliere reciproco

La natura è suscettibile al concetto comportamentale che sviluppiamo in relazione ad esso. Se vediamo solo merce essa diventa inerte, ovvero idonea ad essere commerciata: anticipa i nostri scopi morendo.
(Norman Mommens, Spigolizzi, 1989)

1.

Lecce. Giovedì 2 agosto 2012. Comitive di turisti assiepano una manciata di strade di pietra. Sono le otto del mattino, l’aria è ancora fresca o almeno ne mantiene l’apparenza. Fra poco le pietre vomiteranno sudore, il sole le passerà da parte a parte come fa con gli occhi quando si aprono al risveglio, e scriverà una serie di umori strattonandole nella loro immobilità, iniziandole ogni volta alla vita.
Comitive di turisti affollano una manciata di strade di pietra, dove il tempo ne ha perfezionato la dimensione, ingozzandole, destinandole ad un lembo rarefatto dell’anima. Sembra quasi non ci sia equilibrio. Facce su facce si attorcigliano l’una sull’altra cercando d’apparire, come le facce della gente il sabato sera su queste stesse strade. Un ricordo vecchio di pochi giorni custodisce ancora nei miei occhi la sensazione di una pietra diversa; una pietra che ha saputo mescere il passato e il presente in un equilibrio importante perché denso di cose da ricercare, senza il peso di un affanno claustrofobico. A Specchia, la pietra di castello Risolo, tumefatta dal tempo senza che questo ne ingozzi l’esistenza con violenze immani, viveva, nei giorni del Festival di Cinema del Reale, fra due dimensioni diverse. Il sapore mitologico, arcaico, delle pietre e della luce dei colori di Norman Mommens e la multimedialità di un festival che sa come progettare la sua scansione, contribuendo ad un Sud come discorso di crescita capace di sostanziarsi nello scambio del reciproco accogliersi, più che nella vetrina politica della mondanità salentina.

2.


Lecce. Giovedì 2 agosto 2012. Il giorno si scalda e comitive di turisti s’ingozzano di sudore come conchiglie straripate dal mare, arroccati in strade antri di pietra mortificate dalla condizione commerciale che violenta il ventre caldo della vita. Giorni prima, a Specchia, le pietre di Norman Mommens accendevano una poetica che spostava la dimensione dell’uomo al centro di un canto antico, perforato da danze tribali e grandezze oceaniche che pervadono il nostro corpo, acuendone la percezione e il riconoscimento, eludendo la scansione temporale di un posto dove gli orari dei temporali si azzuffano con un cielo scaltro, alato, sempre troppo netto, sempre troppo scottato, in un pezzo di dimensione archetipa sostanziato, ancora, da persone nascoste dietro porte e finestre, incasellate in relazioni che dialogano fra loro con l’intensa voce del silenzio, che fa l’amore col mare nell’antro di una conchiglia.


Francesco Aprile
2012-08-04